Più che in passato mi sembra avere valore distinguere tra scrittura asemantica e scrittura asemica.
La scrittura asemantica può lavorare con molti materiali, anche con frammenti di lettere o lettere ridotte a lacerti comunque distinguibili, può strutturarsi per esempio come lavoro sulla performance vocale privata di significato.
Una scrittura asemantica può essere per esempio quella della Gnosi delle fànfole, di Fosco Maraini.
La riduzione anche a zero del significato non significa sua volta che non sia possibile prendere casa nel testo e strutturare, in qualità di lettori, un proprio significato a partire dai materiali proposti.
Nel caso invece della scrittura asemica ci si trova di fronte a materiali che sono avanzati con notevole profitto nel territorio dell'astratto, ad esempio segni grafici assolutamente incongruenti con qualsiasi possibile alfabeto, anche se latamente riconducibili a un moto calligrafico della mano.
In questi ultimi casi la possibilità per l'osservatore, non più lettore, di edificare un struttura qualsiasi che possa essere abitata dallo sguardo con una parvenza di familiarità è fin dall'origine bloccata, resa impercorribile, impraticabile.
È in fondo come se la traccia scritta si arrestasse qualche passo prima di raggiungere lo stesso statuto di segno.
Sempre ammettendo di attribuire al segno la natura di unità minima di significato.
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